I modi in cui le società si organizzano attorno all’approvvigionamento alimentare – produzione, trasformazione, distribuzione e consumo del cibo – ci raccontano molto dell’organizzazione sociale che le regola. Sono anche molto indicativi del rapporto tra cittadini/e, attori e attrici della produzione alimentare da una parte e istituzioni dall’altra e condizionano il benessere, la salute, la qualità dell’ambiente e la giustizia sociale.
Il paradigma dominante oggi, incentrato esclusivamente sull’intensificazione delle produzioni e sull’abbattimento dei prezzi – quindi sulla quantità a scapito della qualità – attraverso filiere allungate al punto di attraversare diversi continenti ha un grandissimo impatto ambientale che produce dipendenza dalle importazioni, impoverisce le risorse, induce a sistemi alimentari squilibrati, genera patologie socio-sanitarie, disuguaglianze nell’accesso al cibo, assedio e declino delle piccole produzioni (maggioritarie in tutto il mondo e garanti dell’80 della produzione del cibo consumato nel mondo) e di intere zone rurali da una parte all’altra del mondo. L’esigenza di massimizzazione dei profitti ha infatti determinato lo sradicamento dei saperi locali e dei sistemi economici tradizionali sottraendo alle comunità, alle famiglie e ai singoli individui il controllo sulle regole del cibo, sulle conoscenze e sulle risorse per produrlo e conseguentemente sulle relative scelte.
Questa trasformazione della terra e della natura in merci e le modalità del loro sfruttamento sono gestite da una decina di attori dell’industria agro-alimentare, dell’industria delle sementi e dei prodotti chimici, dell’industria farmaceutica e della grande distribuzione organizzata (GDO). Grazie al loro potere economico e all’influenza (che spesso agisce come un vero e proprio ricatto) sui sistemi politici nazionali, questi attori riescono ad impedire il cambiamento di traiettoria rivendicato da migliaia di organizzazioni contadine e da milioni di produttori, produttrici, consumatori e consumatrici e oggi timidamente suggerito finanche nelle agende officiali su scala globale (Agenda 2030) ed europea (Green Deal, Farm to Folk-F2F).
Da diversi anni infatti, il tema del cibo sta diventando un argomento sempre più rilevante, nel nord come nel sud del mondo. Cittadine e cittadini avanzano crescenti richieste ed esigenze sulla qualità degli alimenti e sul riconoscimento del valore del cibo. Riemergono un’agricoltura contadina di tipo familiare, di piccola e media scala e sistemi locali del cibo che hanno il vantaggio di integrare un’agricoltura sana e di qualità, di favorire l’eliminazione e/o la riduzione dei prodotti chimici, di recuperare e valorizzare le tecniche e le conoscenze tradizionali, di tutelare i sistemi ecologici e le specie locali. Produttrici e produttori da una parte e consumatrici e consumatori dall’altra creano i legami necessari a far rinascere una modalità di approvvigionamento del cibo equilibrata e giusta che porta alla rinascita di interi territori. Promuovere un sistema del cibo sostenibile a livello locale significa fornire ambienti urbani più vivibili, un’adeguata remunerazione per tutti gli attori e le attrici della filiera alimentare, sviluppando, al tempo stesso, un’economia locale basata su nuove relazioni fra città e campagna. Significa inoltre valorizzare e regolarizzare il lavoro agricolo che, soprattutto nel sud Italia, è caratterizzato da sfruttamento, precariato, mancanza di diritti e di normative adeguate e che tocca in particolar modo le persone straniere.